One life and then you’re done

Dag - Benefits of Solitude

All'inizio dell'ultimo show 2017, c'è una battuta di Louis C.K. che comincia con queste parole: "Life is okay. I like life. I like it. I don't need it. I'd be fine without it". Ecco, a volte la vita ti fa sentire proprio così: come se potessi tranquillamente fare a meno di lei. Tu e la vita siete pari. È un margine sottile come una lama: il momento di equilibrio in cui puoi dirti completamente in pace con il mondo, ma basta un niente e tutto può crollare. Un niente, proprio.
Mi sembra che ci sia parecchio "niente" dentro Benefits Of Solituide, il bellissimo disco di debutto dei Dag pubblicato da Bedroom Suck. Non intendo "niente" nel senso che questo è un disco nichilista. Piuttosto, c'è molto di quel niente che incontra uno che attraversa i suoi giorni e realizza di colpo che curiosa coincidenza è ritrovarsi sulla faccia della terra e, al tempo stesso, ha molto a cuore quello che ci fa vivere ogni minuto. Lo sguardo dentro queste canzoni è quello di chi è abituato a guardare lontano, in fondo alle lunghe distanze dell'Autralia. Le distanze che ti portano a misurare le parole. Immagini facilmente uno scenario rurale non molto allegro e florido, un orizzonte deserto. C'è la solitudine e c'è il silenzio, e c'è anche quel sorriso di chi ha bisogno di compagnia, ma ha imparato a non aspettarsi troppo dagli altri. 
A volte sembra proprio che tu e la vita siate pari, e i Dag sanno far nascere da quella sensazione di confidente abbandono alcune delle loro canzoni migliori: Guards Down, Exercise o la title track piaceranno a chi già ama Twerps, Totally Mild o The Goon Sax. Qui e là interviene la voce di Heidi Cutlack ad addolcire le melodie roche di Dusty Anastassiou, a volte è un violino o addirittura un sassofono. Altre volte, invece, credi di essere tranquillo e rilassato, e invece è soltanto il fronte di bassa pressione del tedio e della tristezza che avanza lento e si prepara a copriree l'intero cielo. I Dag possono all'improvviso diventare una band slowcore, come in Company, JB o nella conclusiva Endless, Aching Dance. Quell'oscurità che riescono a tirare fuori dalla loro stessa (apparente) leggerezza, è quello che rende questo disco un viaggio - per forza di cose solitario - molto affascinante. 





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