Oh, what a drag it is to win

Clap Your Hands Say Yeah - The Tourist

"Meglio continuare a muoversi / meglio restare immobili": Better Off, uno dei singoli che aveva anticipato l'uscita di The Tourist, il quinto album dei Clap Your Hands Say Yeah, indicava già uno dei temi che sembrano attraversare tutto il disco. "Meglio mollare che non fare niente": c'è indecisione e urgenza al tempo stesso. Il ritmo è incalzante, un po' alla Some Loud Thunder, i bassi nettamente sopra le righe, mentre la voce (che trova pure il tempo di citare Vicious di Lou Reed) sembra distendersi sopra la melodia, quasi abbandonarsi alla confusione dei pensieri, fino a quando gli echi si sovrappongono in un crescendo: "what I'm doing now, what am I doing now..."
"I get up to be the tourist, but am I the pilot?" si domanda la traccia d'apertura The Pilot. Alec Ounsworth, rimasto l'unico titolare della band, dopo che negli ultimi cinque anni tutti i componenti originari della formazione se ne sono andati, forse ha trovato una nuova motivazione e una nuova vena creativa. Sarà l'entusiasmo della primavera, ma mi sembra che queste nuove dieci canzoni, e soprattutto la loro coesione, possano essere considerate allo stesso piano dell'indimenticabile, e probabilmente irripetibile, debutto del 2005.
Ovvio, quell'impatto non lo avranno mai, né i CYHSY ritroveranno più le attenzioni che hanno goduto in quell'epoca (e non voglio neanche avvicinarmi con un bastone all'antipatica definizione di "blog rock"). Anche perché, già a cominciare dai primi tour che quasi impreparati e riluttanti si ritrovarono a fare, e poi soprattutto con il secondo album, la band di Philadelphia aveva fatto di tutto per far capire che non erano interessati a quel tipo di successo e notorietà.
E proprio con questo disco, che lo vede da solo e con cui ritrova finalmente in maniera piena quella prima ispirazione, Ounsworth sembra tra le righe riconsiderare la sua carriera con occhio distante: "Oh, what a drag it is to win". Ma non diamo nulla per scontato, questa non è una resa, anzi il tempo incombe, diamoci una mossa: "I can't take a breath and settle down. This revolution is only in my head. The loose ends are coming for me now. They’re coming for me now", proclama la bellissima Loose Ends. L'urgenza della musica si fa urgenza esistenziale. Non so quali travagli e sofferenze abbia patito Ounsworth in questi anni, ma sembra esserne uscito come una persona nuova.
Le cose che amavamo (o almeno, che io amavo) dei Clap Your Hands Say Yeah sono ancora tutte qui: quella capacità di combinare con grazia David Byrne e Bob Dylan la ritrovo immutata, e per fortuna! Quella poesia frantumata fatta di nonsense in cui, all'improvviso, emergono parole slegate che nonostante tutto ti restano stampate addosso: qui, per esempio, Unfolding Above Celibate Moon (Lost Angeles Nursery Rhyme) riesce a tirare fuori un verso mettendo assieme i Velvet Underground di "I’ll Be Your Mirror" e "I’m Still Your Fag” dei Broken Social Scene. E quella capacità di concepire una musica vibrante ed euforica che ti entra sotto pelle e ti fa gettare le braccia al cielo è sempre la stessa. Ma è rimasto lo stesso anche il gesto schivo di voltarti le spalle da un momento all'altro, perdendosi in divagazioni sperimentali subito dopo averti regalato un ritornello da saltare in pista come fosse il 2005 (la formidabile The Vanity Of Trying).
Proprio questa canzone racconta "I’ve been looking for easy solutions" ma forse non sono quelle a dare maggiore soddisfazione. "We can be whatever, whatever, whatever we want" mi sembra già molto più combattivo e promettente. Un nuovo inizio per i Clap Your Hands Say Yeah.



Clap You Hands Say Yeah - Better Off

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