I'll sing it to you softly, so terrified


Lenta, come soltanto un gesto dentro qualche sogno può essere, la mano si avvicina e si posa sulla pelle che sta per accarezzare, ne segue lieve il profilo, tra l'ombra e il punto in cui cade un raggio di sole che filtra dalle tende. La stanza è immersa nel silenzio, quasi non sentiamo i nostri respiri. La consuetudine delle nostre mani è qualcosa di cui non ci accorgiamo quasi mai.
La musica di Hand Habits sembra parlare, tra le altre cose, di carezze, di tatto, di qualcosa da tenere tra le mani con tutta l'attenzione e la premura del mondo: "Hold me like a child", canta All The While. "I hold you like a flower / hold you like an hourglass / hold you like you’re the only thing I ever had", risponde Flower Glass. Melodie che si distendono e si prendono tutto il tempo per avvolgerti, sussurrarti all'orecchio, aspettarti. Queste canzoni sembrano capaci di sprigionare calore: non quello istantaneo di una vampa, ma quello dolce di un lungo, lungo abbraccio. Viene in mente una sola parola per cercare di descrivere questa musica: languida. Suoni che galleggiano come anelli di fumo, volano via al rallentatore e si disfano tra echi impalpabili.
Meg Duffy era già conosciuta per aver fatto parte della band di Kevin Morby e dei Mega Bog, e ora esordisce sulla lunga distanza con questo progetto in cui fa tutto da sola. Wildly Idle (Humble Before The Void), pubblicato (in maniera direi molta appropriata) dalla Woodsist, è stato interamente registrato nel suo salotto, con l'eccezione di alcune guest performance di Avi Buffalo, Kevan Lareau e Sheridan Riley, e il mixaggio di M. Geddes Gengras, già al lavoro con L.A. Vampires, Zola Jesus, Pocahaunted e Love Cult.
La scrittura della Duffy sembra prediligere canzoni più ampie della forma pop abituale, quasi sempre sopra i cinque minuti, Ma non si tratta di sovrabbondanza, non ci sono lunghi assoli né  intermezzi riempitivi: è solo che tutto si rallenta dentro questo disco, il tempo si dilata e si distilla, la goccia di miele è sempre sul punto di cadere, e tu continui ad assaporare in anticipo quello che sta per succedere. Se non fosse per quella sfumatura di calda malinconia che sembra, in qualche modo, insinuarsi sempre tra le corde della chitarra, si potrebbe dire che questo album trabocca sensualità (quella In Between pronta per la colonna sonora di un vecchio David Lynch). Ma mi pare che alla fine sia una assorta delicatezza a prevalere, come se la musica di quel contatto e di quello sfiorarsi aprisse uno spazio nuovo, sconosciuto eppure intimo. E la voce di Meg Duffy, per fortuna, è qui per essere la nostra guida.



Hand Habits - Flower Glass


Hand Habits - All The While


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