L'indie rock del caro estinto


Ora che l'autunno diventa quello delle pioggie che annunciano novembre e la mattina quando esco di casa è ancora buio, l'estetica cimiteriale di molte band delle ultime stagioni (ne sono campionesse indiscusse le Dum Dum Girls, ma io risalirei anche ai Manhattan Love Suicide) mi arriva addosso fradicia di nebbia, rimpianti e riverberi, e mi trova più indifeso.
Tra i miei preferiti di questa leva, da lungo tempo ci sono i Veronica Falls. I vari progetti scozzesi da cui discendono (Sexy Kids, Royal We...) erano già parecchio interessanti, ma l'influenza della nuova base a Londra deve essere stata in qualche modo decisiva. Visti dal vivo qui a Bologna un annetto fa, confermavano tutte le aspettative alimentate dai primi singoli (su Captured Tracks, No Pain In Pop e Slumberland, niente meno), e quando proprio via Slumberland e Bella Union finalmente è arrivato l'omonimo album di debutto la sensazione è stata più quella di una conferma che di una scoperta.
Con titoli come Found Love In A Graveyard e Bad Feeling, e ritornelli come "misery / my old friend", i Veronica Falls fanno subito capire quali sono le regole del loro gioco. Ma ciò in cui davvero riescono meglio è stemperare quei colori cupi, quei rimbombi di semitoni eternamente declinanti ereditati da Shop Assistants, Beat Happening e Talulah Gosh, con melodie che si fanno all'improvviso più luminose. Del resto il quartetto ha sempre dichiarato anche il proprio amore per certi Sixties alla Mamas and The Papas, e il gioco tra le due voci di Roxanne Clifford e Patrick Doyle soffia via la mestizia, arrivando a volte a sfiorare leggerezze twee (Wedding Day), oppure a lasciare spazio a propulsioni più rock (Beachy Head). Fino ad arrivare all'apoteosi della traccia di chiusura, il crescendo poderoso di Come On Over, mio personale inno di stagione: "hey, it's getting colder / come on over / until the summer / until we're older / and forever / come on over".

(mp3): Veronica Falls - Come On Over

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