"Frankentime"


Ho finito questa mattina sul treno Player One, l'ultimo romanzo di Douglas Coupland. E proprio oggi Jonathan mi segnala questa intervista fatta allo scrittore canadese da Cassie Ramone delle Vivian Girls. Wow, e chi se lo sarebbe aspettato. Indie rock goes bookworm!
La veloce chiacchierata parla in buona parte del suo ultimo lavoro, la biografia di Marshall McLuhan (mi è arrivata l'altra settimana, la comincerò stasera, poi vi dico), ma in mezzo Coupland risce comunque a infilare alcune delle sue considerazioni sulla contemporaneità. Per esempio, a proposito del tempo che tutti perdiamo in rete: "Creative people will always create – there’s no stopping really creative people. The internet weeds out the pretenders, but that’s what TV used to do – it’s what books used to do". Eppure poco dopo aggiunge "it's true, once you get used to a certain level of connectivity, you can never go back to where you used to be".
Questo tema è in qualche modo presente anche sullo sfondo di Player One, uno dei suoi romanzi più "teorici", in cui certe pagine sembrano come mai prima frammenti di un saggio messi in forma di dialogo.
Non voglio rovinare la lettura a nessuno con qualche spoiler, ma la premessa teorica di tutta la storia merita una citazione, perché è qualcosa che definisce alla perfezione il problema del presente come lo vede Coupland:
Information overload triggered a crisis in the way people saw their lives. It sped up the we locate, cross-reference, and focus the questions that define our essence, our roles – our stories. The crux seems to be our lives stopped being stories. And if we are no longer to have lives that are stories, what will our lives have become?

(Per chi me l'ha chiesto, il titolo viene da qui)

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