Record Store Day: play it loud


Sulle pagine di Vitaminic stanno facendo un ottimo lavoro per seguire e supportare il Record Store Day 2011 nella maniera più completa possibile. Nel mio piccolo voglio provare a dare un contributo, ma non parlerò in prima persona. Perché compro ancora un sacco di dischi, ma nei negozi entro sempre meno, e un po' mi dispiace. Il fatto è che una delle cose più belle dei negozi di dischi è che possono diventare come il tuo Bar Sport, quello dove vai tutti i giorni. Ci sono gli stessi personaggi caratteristici, le chiacchiere trascinate fino all'ora di chiusura, le abitudini scandite dallo sfogliare dei giornali, quel tono sempre un po' cinico e un po' innamorato perso. Tutto ciò che rappresenta la novità viene visto con disincanto sornione, eppure inseguito, scomposto e analizzato in maniera meticolosa e al tempo stesso con la passione di un ultras. L'accanimento filologico è una delle patologie più diffuse di questi ambienti.
E così, per quanto abbia visitato con devozione molti dei più celebri negozi di dischi in giro per il mondo (dal classico Rough Trade di Talbot Road a Londra, a Other Music a New York, ai Pet Sounds e Record Hunter a Stoccolma), e ad ogni viaggio cerchi sempre di trovarne qualcuno nuovo, quando parliamo di negozi di dischi a me continua a venire in mente il Play Loud di Cento, piccola cittadina di provincia in mezzo alla Bassa emiliana. Sono cresciuto da quelle parti, ed ero un ragazzino quando aprì. Lì ho avuto tra le mani i miei primi cd dei Pixies e dei Dinosaur Jr., lì ho visto i primi 12 pollici neri della Century Vox senza etichetta ma con un fax infilato dentro, a quel bancone ho conosciuto Ronnie Shetland, bassista dei Lino ei Mistoterital, lì ho sfogliato il mio primo NME, lì ho comprato Hatful Of Hollow mentre intorno si riempivano gli scaffali di Nirvana e Pearl Jam, e lì per qualche mese provammo anche a fare una vera fanzine fotocopiata ("Commercial Alternative", che titolo d'epoca). Insomma, è stato un momento di formazione, e non credo me ne rendessi bene conto mentre c'ero dentro, ma quel posto doveva essere piuttosto speciale e "strano" per il quieto paesaggio circostante post Anni Ottanta. Più tardi arrivai a Bologna, e nonostante tutto, agli storici Disco D'oro o all'Underground di Via Malcontenti non mi ci affezionai allo stesso modo. Stavano già cambiando le cose.
Ho scritto a Leo del Play Loud, uno che se glielo chiedevi ogni tanto ti registrava anche un nastrone con il meglio stagionale, così ti potevi fare un'idea di cosa passava il convento non solo leggendolo sulle riviste, e gli ho chiesto come va di questi tempi.

Partirei proprio dall'inizio: hai aperto il negozio all'alba dei Novanta, quando c'era tutta un'altra idea di musica e fruizione (ricordo che per un po' hai fatto anche il noleggio cd): quali sono state le motivazioni allora, e come le vivi ancora oggi?
Play Loud nasce nel marzo del ’92, a Cento, provincia ferrarese. Io e Claudia affittiamo trenta metri scarsi di negozio in centro storico e lo pavimentiamo con del linoleum adesivo. Budget limitatissimo e i nostri 25 anni a farci coraggio. Ricordo che già all'epoca ci consideravano dei pazzi sconsiderati: avviare un'attività dal nulla e mollare il posto di lavoro non era esattamente sinonimo di saggezza, tanto meno con quel tipo di prodotto. E in paese ne esistevano già tre! La decisione comunque era presa: per noi vendere dischi era qualcosa che trascendeva le coscienze terrene, dovevamo diffondere il verbo, insomma ci lanciammo. Da quel momento Play Loud è diventata la nostra vita.

Dopo tutto questo tempo, e soprattutto in una condizione di mercato come quella attuale, quale pensi che sia il fattore che ti permette di portare avanti l'attività? Dando per scontato che la guerra sui prezzi è persa contro i vari Play.com, Amazon ecc. (ma anche contro la grande distribuzione e i centri commerciali), conta di più il rapporto che hai costruito con un certo target, la selezione costante del catalogo, essere quello dietro il banco capace di dare consigli...
Tanti i fattori da considerare: economici, gestionali, pratici, anche umani. Il fatto di non avere dipendenti, di essere piccoli ed elastici, ci ha fatto adattare velocemente ai continui e assurdi cambiamenti del mercato discografico. Essere ancora qui significa essere cresciuti insieme ai tuoi clienti, essere consapevoli di aver imparato da loro tanto. Coltivare e condividere una passione come quella musicale, incontrando fisicamente altre persone, uscendo di casa, in parole povere vivendo, ritengo sia emotivamente molto gratificante. Dopo vent'anni poi posso dirti che sono talmente tante e assurde e pop le cose che succedono in un negozio di dischi che ogni mattina la curiosità di sapere cosa mi aspetta è indescrivibile!

Per un negozio di dischi, soprattutto in provincia, ha ancora senso specializzarsi, curare l'offerta e portare avanti una linea "di stile", quando poi immagino che il business siano le compile di Sanremo, il nuovo di Vasco e i cofanetti dei cantautori a Natale?
Fondamentale, in provincia, è essere presenti a 360 gradi su quello che il mercato offre. Devi essere capace di accontentare chi ti chiede la ciofeca appena sfornata da amicidimariadefilippi e al tempo stesso avere sullo scaffale l'ultimo dei Dodos. Se non ti abbassi a questo sei finito. Punto.
Poi è naturale, tutte le porcherie non puoi tenerle, altrimenti il tuo "buon gusto" musicale va in malora. Però una turatina di naso te la devi dare e certe cose devi proprio averle. Compromesso sonico.

Cosa ne pensi di iniziative come il Record Store Day? Credi che vengano percepite dal pubblico o è solo un bell'argomento per addetti ai lavori? Il Play Loud parteciperà in qualche modo? Ti sei procurato qualcuna delle rarità che verranno messe in commercio?
È chiaramente un'iniziativa per addetti ai lavori e per chi nel giro dei negozi di dischi ci è già dentro fino al collo! Per noi negozianti è un simpatico modo per ritrovarsi e dire "toh! anche quest'anno siamo qui, che culo!". Per i clienti più affiatati una festa in cui tuffarsi e gustarsi i 45 giri caldi caldi appena sfornati. Noi partecipiamo come sempre alla grande, decine di vinili e cd limited edition con i quali continuare a farsi del male! Ma questa ormai è una cosa che portiamo avanti tutto l'anno, il Record Store Day serve a ricordarci di non mollare mai, giusto!?

Commenti

Unknown ha detto…
letture consigliate per godersi completamente il RSD:
" l'ultimo disco dei mohicani" di Maurizio blatto
" il 33° giro gloria e resistenza dei negozi di dischi " di graham jones