Re: Non-post no.1

Vorrei rispondere a ellegi qui sotto, che scrive
> Il punto è che non ho niente da dire.
Come ben sai, non avere niente da dire è una dei miei malanni più frequenti.
Una risposta saggia (che devo ricordare anche a me stesso) credo sia quella che consiglia di cercare ogni tanto qualcosa da dire non nei libri, nei dischi, nei giornali o nei blog (anche se un bell’elenco di link a volte riempie). A volte sarebbe bello (o meglio) cercare fuori, in strada, in città, guardando e ascoltando.

Tempo fa, in quelle settimane di scirocco e proroga d’autunno, sono uscito dall’ufficio in pausa pranzo e ho cominciato a camminare nel quartiere.
Lavoro a due passi dalla Via Emilia e mi sono accorto che non sapevo nemmeno quali negozi stavano dietro il mio palazzo, su una delle vie più importanti della regione (e della storia del pensiero occidentale, spiegava un professore all’università, ma di questo parlerò forse un’altra volta).
Così ho camminato e, ad esempio, mi sono accorto che avevano aperto un "Lavaggio cani self service 24h" proprio accanto ad un pub chiamato "La Taverna del randagio": sono cose che fanno pensare.

E poi andando avanti ho scoperto un parco dietro la ferrovia, che non si vede dalla strada e dove non ero mai stato. Mi sono seduto a mangiare al sole, in mezzo ad un campo da basket senza canestri, e un ragazzo è venuto a chiedermi se avevo una sigaretta. Gli ho risposto che non fumavo, ma si capiva che non era quella ad interessarlo. Gli ho chiesto se voleva un panino e lui ha risposto di no ma si è seduto e mi ha raccontato chi era.

Si chiama Aurelio e viene dalla Romania. È uno di quegli immigrati senza permesso che sono stati sgomberati dalle baracche sull’argine del Reno a settembre, e di cui parlava anche Zero in Condotta nel numero in cui compariva la nostra prima collaborazione (Tra parentesi: quelle baracche oggi sarebbero sotto la piena del fiume).
Mi ha ripetuto frasi note: è senza permesso di soggiorno, cerca un lavoro, farebbe qualunque mestiere ma nessuno vuole chi non è in regola (e non puoi esserlo senza lavoro), ha disperatamente bisogno di un posto dove stare. Parole che sentiamo spesso sovrappensiero e che ormai appartengono ad un genere, ma che ascoltate di persona, occhi negli occhi, annusate da vicino, suonavano come fosse la prima volta.
Poi mi ha raccontato del viaggio, di casa sua e di come è difficile stare in un appartamento con cinque persone: non può uscire con una ragazza perché non sa dove portarla, non ha soldi per andare da nessuna parte, né una stanza dove invitarla.

Abbiamo fatto un pezzo di strada assieme, tornando indietro, io al mio ufficio, lui ad un bar dove forse avrebbe incontrato qualcuno che gli avrebbe proposto un lavoro come muratore.
Gli ho chiesto se voleva le sigarette, gliele offrivo volentieri (con te non lo faccio mai). Ha detto di no, mi ha semplicemente detto grazie per averlo lasciato chiacchierare un’oretta.
E così io, che non gli avevo dato nessun tipo d’aiuto e che come al solito non avevo niente da dire, ero stato ringraziato: sono cose che fanno pensare.

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