Dovrei fidarmi di più di quello che sento dire in giro.
Solamente quando ieri sera li ho messi in radio mi sono accorto di quanto mi piacciono davvero gli Interpol e tutto il loro Turn on the bright lights. E così eccomi qui, irrimediabilmente in ritardo, a fare un post su di loro.

E ancora una volta mi sono pentito di quanto sono diffidente e superficiale e pigro: Simone me ne aveva parlato più di un mese fa, e NYC l'avevo addirittura scaricata prima delle vacanze; ma niente, sembravo sordo.
Poi nell'album c'è quella canzone, la numero cinque, Say hello to the angels che è una sintesi quasi perfetta di Smiths e Strokes (e se siete passati qualche volta su queste pagine potete immaginare che la cosa mi renda ben più che felice), che arriva subito dopo l'incalzante PDA, con il suo refrain "we have two hundred couches, where you can sleep tight, dream right, we have two hundred..." e il minuto abbondante della sua coda dilatata, e insomma lì succede qualcosa, si sblocca un meccanismo e l'ascolto non è più lo stesso.

Forse è il momento in cui entri nella musica di Interpol (o forse lo è stato per me), sempre che ti prenda, perché dopo di quello Paul Banks e soci possono dire praticamente quel che vogliono che tanto ormai hanno già vinto. Il resto dell'album è di una compattezza impressionante, forse a tratti troppo trattenuto sulla corda dei (facciamo questo nome, inevitabile) Joy Division (ma Arturo ci segnala giustamente anche Wire, Sound e Chameleons), seppure direi con una maggiore propensione alla melodia (vedi ad esempio la conclusiva ed epica Leif Erikson).

Alla fine, preferisco i momenti più veloci e aggressivi (della seconda parte del disco citerei Roland, il cui assolo ha più di una parentela con Alec Eifel dei Pixies) che mi sembrano i meglio riusciti, e questo non può che far ben sperare per l'imprescindibile live (Roma, Milano e Rimini tra il 31 ottobre e il 2 novembre).

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