All the indifference that I faked

The New Year - Snow

Voglio lasciarlo scritto qui, fermato mentre la primavera ha cominciato a mollare gli ormeggi e si sta ormai lasciando trascinare nella calda corrente dell'estate che arriva. Voglio lasciarlo qui, come un muto ammonimento pallido mentre intorno sono già pomeriggi a colori di sole forte, e maglietta e tormentoni rap. La monolitica copertina quadrata e grigia del nuovo disco dei New Year è un sentimento spoglio e freddo, invalicabile, ma per me vivo e trascinante. Non è triste e non è desolata. Non si può nemmeno definire "minimalista": ha fatto tutto il giro e ha raggiunto quell'austerità che scaturisce da un tempo diverso, distante, più prolungato e severo. Il tempo di chi sa bene che pronunciare la parola "slowcore" nel 2017 è come parlare lingue morte di civiltà dimenticate. I fratelli Matt e Bubba Kadane hanno continuato a creare la loro musica per più di venticinque anni, portando avanti un'idea di suono senza compromessi, in apparenza anche senza troppe urgenze, continuando a lavorare soltanto su una scrittura che, prova dopo prova, scava sempre più a fondo, e arriva a colpire con una precisione devastante.
Sono forse da considerare degli eroi per questa coerenza? No, almeno secondo certi temi che si possono leggere tra le righe di queste canzoni. Il disincanto che attraversa questo nuovo monumentale Snow è assoluto, direi irreparabile. "There's no reason to celebrate / The best things we've done won't live on / When what we were is gone" (Myths), mentre poco dopo The Beast rincara la dose: "The memories will fade / before we get repaid".
Ma questo album non è un epitaffio, non è arido né banalmente malinconico. La musica dei New Year, il suo essere in qualche modo circolare, tanto nelle progressioni poderose dei suoi crescendo quanto nelle derive quasi jazz delle canzoni più dilatate, ha da sempre un carattere di ostinazione e determinazione che mi lascia ammirato. Una quieta e irremovibile caparbietà, che li spinge avanti, da sempre:
"We either forget / Or count on a new ending / And go back again and again / For the same beating".
Le canzoni dei New Year sono enigmi rocciosi e al tempo stesso elusivi. Puoi passarci accanto di fretta e non accorgertene nemmeno. Oppure puoi sederti lì, accogliere il loro schivo saluto e riascoltare tutto dal principio. Chitarre senza tempo.
Una scrittura che scava sempre più a fondo, dicevo. Anche se Snow mi pare lo faccia cercando, più di ogni disco precedente, di smussare certe asprezze dei passati New Year. Il frequente uso del piano elettrico, gli interventi discreti di un organo a volte solenne, a volte deferente, rendono il paesaggio meno rigido. Le melodie hanno accenti delicati, a tratti diresti che rivelano un'autentica serenità. Le canzoni si concedono forme quanto mai aperte, con lunghe divagazioni strumentali che ti sollevano e ti lasciano sospeso, a fluttuare in un incanto, proprio come un lento fiocco di neve, che non ha bisogno di cielo e terra.
"When it snows / God only knows / Why it feels dead and alive".





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