Musica per cielo di calcestruzzo
The Concretes
Il mattino era cominciato nell'aria. Faceva venire voglia di lunghe passeggiate in montagna, quelle con i boschi al sole, scarponi e pantaloni di velluto.
Finalmente congelato e limpido, stava tutto sopra l'azzurro. Tendeva al bluescreen per i nostri andirivieni digitali molto più modesti.
Ma andava ancora bene.

All'ora di pranzo, verso la periferia a ponente, scesero nubi. Le nubi dello scazzo, dei problemi degli altri, del tedio e dell'insofferenza per sé stessi. Il colore del cielo degradò, mescolandosi a quello dei palazzi per anziani e immigrati con regolare permesso di soggiorno dietro la Via Emilia. Il calcestruzzo si assestò sotto lo sterno. La pioggia non lo scalfì.
Mi rifiutai di accendere la luce, bastava quella del monitor. Accesi invece la voce di Victoria Bergsman e dei suoi Concretes.
Un'altra band svedese, sì.

Non lasciatevi ingannare da allegre scampagnate come Seems fine o You can't hurry love (titolo che insieme a un altro come Diana Ross mette subito in chiaro po' di riferimenti). Non fatevi distarre dal desolato valzer di Warm night.
I Concretes che i passi di questo novembre invocano sono quelli dolenti di New friend e This one's for you. Arpe, sassofoni, pianoforte e tamburelli. Poco altro. Foreign country tiene il ritmo a quest'acqua che picchia sui vetri, e il soul di Lonely as can be resta trafitto di freddo scandinavo.
Dischi così dovrebbero essere proibiti in questa stagione.

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