Where is my mind?
Pixies live in Imola, 19 giugno 2004

Avrà più di quarant'anni,
e certi applausi ormai
sono dovuti per amore.
No, non incontrarlo mai.

(Paolo Conte)


Ho chiuso gli occhi, ho fissato un punto molto alto nel cielo, ho lasciato che il coro gridasse e stracciasse la musica senza muovere un muscolo.
I am un chien.
Andalusia.
Parole incise nella mia memoria molto tempo fa. Ho trattenuto il respiro e sono tornato a guardare: ero a Imola, estate 2004, nell'autodromo che ospitava un megafestival sponsorizzato da una nota marca di birra. Piuttosto distanti da me, stavano suonando i riuniti Pixies.
Erano pesanti, sudati, fermi in mezzo al palco enorme. C'era una bella luce, un fresco crepuscolo pieno di vento, anche se non sono stato davvero capace di saltare convinto sulle note di Debaser con quel sole.

Le mie orecchie intanto avevano fatto un viaggio indietro nel tempo e nulla di quello che sentivano corrispondeva a quello che vedevo. Il suono stava arrivando direttamente dal 1989, un frastuono ruvido e potente, forse appena meno grezzo. Le mie orecchie stavano pompando sangue al cuore e un nodo in gola era pronto a sciogliersi. Ma lo spettacolo davanti agli occhi non era altrettanto toccante. Non sono abituato ai megafestival, non so come si vive la musica in quelle situazioni. Folla e distanze mi pareva rendessero inutile ogni desiderio o riflessione.

Sui maxischermi l'immagine degli occhi di Kim Deal, impassibili e opachi, veniva rapidamente sostituita da un dettaglio della chitarra di Santiago, e poi tornava a campeggiare il primo piano di Frank Black, sfatto, sudato e urlante ma senza il minimo segno di cedimento.
Hanno suonato quasi tutto quello che si poteva sperare in un set di un'ora e mezza, e l'hanno suonato con una grandezza da stenderti, e questo ha fatto solo aumentare la mia tristezza.

E quando alla fine di Where is my mind sono venuti tutti lì davanti, a inchinarsi al pubblico, qualcosa che i gruppi rock non fanno quasi più, e David Lovering si è pure fatto scattare la foto con tutti noi alle spalle da una Kim Deal finalmente sorridente e divertita, ecco: quello mi è sembrato una specie di addio.
Ma io, chi stavo salutando?

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