Stranger than polaroid

Di nuovo a Bologna per un rapido passaggio in redazione. Controllo la posta e mi accorgo di un madornale errore commesso la settimana scorsa, "felici nel casino di un pomeriggio di sbronza" prima di partire per le vacanze.
Mi prendo quindi questo momento, nonostante il tabellone dei treni in partenza appeso qui dietro, per cercare goffamente di rimediare.
Sono solo alcune righe per dire grazie a una persona che, se non fosse comparsa una sera di fine estate in radio, sarebbe stato proprio un peccato, e questa seconda stagione di polaroid sarebbe riuscita anche peggio di com'è venuta.

Sergio Palladini, colonna portante di Zero In Condotta, è proprio il tipo per il quale l'espressione "si sbatte un casino" risulta un po' riduttiva. Ma è proprio quello che fa. Il bello è che lo fa con una sua aria sorniona, sempre poco aderente, sempre troppo elusiva e silenziosa, che spesso la gente non ci crede, o liquida tutto con il "superfluo" del volontariato.
Ad esempio, a luglio Sergio ha contribuito a organizzare una rassegna cinematografica davvero incredibile, anche per la sempre (meno) alternativa Bologna. Questa era le presentazione dell'ultima serata, rimasta impigliata nel nostro poco funzionale sistema di posta pneumatica. Oggi la pubblico ugualmente perché racconta un sacco di cose che mi piacciono, e che sento molto polaroid.
Grazie Sergio, ci si vede tra qualche settimana :-)


La prima cosa che mi viene in mente, quando penso a “Stranger Than Paradise”, è che in questo film ha lavorato Guido Chiesa. E anche se adesso fa dei film, per me Guido Chiesa rimane il nome che leggevo negli anni Ottanta su Rockerilla in fondo a certi articoli dedicati prima ai Sonic Youth, agli Swans e a James Chance, poi ai Public Enemy, Eric B & Rakim e Boogie Down Productions. Ma Guido Chiesa, per me, rimane anche la vocetta stridula che, sempre negli anni Ottanta, raccontava ogni sera quello che succedeva a New York all’interno di Stereodrome, la defunta trasmissione Rai. Una voce stridula e ironicamente sentenziosa, ricordo, tanto che Alberto Campo aveva soprannominato il suo spazio “l’angolo del grillo parlante”.

E così, quando penso a Stranger Than Paradise, penso automaticamente ai bei tempi in cui la Rai ti faceva ascoltare in anteprima i nuovi dischi dei Biff Bang Pow o dei Replacements. Sono sicuro che tanti ragazzi si sono avvicinati alla musica indie anche grazie a trasmissioni come Stereodrome. Soprattutto quelli che abitavano in provincia e avevano nei paraggi solo radio commerciali. Non è il caso dell’Emilia, per fortuna, dove anche in passato c’erano radio che trasmettevano rock alternativo. In cui, tanto per dire, poteva capitarti di ascoltare Ligabue che, su Studio 6 di Correggio, ti faceva conoscere il disco d’esordio dei Buffalo Tom. A Bologna, poi, emittenti di questo tipo non sono mai mancate, a partire dalla gloriosa Radio Città 103. Ma per un ragazzo o una ragazza di Isernia (per fare un esempio) Stereodrome deve aver significato tanto. Come devono aver significato tanto i trascorsi radiofonici di Guido Chiesa nella sua decisione di girare qui a bologna un film dedicato a Radio Alice (le riprese inizieranno in ottobre).

La seconda cosa che mi viene in mente, pensando a “Stranger Than Paradise”, è che Jim Jarmusch, prima di mettersi a fare film, era il tastierista dei Del Byzanteens. Una band che suonava una musica a metà fra le cupe Bush Tetras e i solari Martha And The Muffins. Eterei ed esotici fin dal nome (nelle loro canzoni ricorrevano spesso dei temi arabeggianti), i Del Byzanteens non erano lontani nemmeno da gruppi oggi riscoperti come Esg e Liquid Liquid. Adesso basta inserire il loro nome in qualche motore di ricerca per avere tutte le notizie possibili e scaricare qualche loro pezzo. Ma io, per restare in tema di programmi radio, li ho scoperti ascoltando Francesco Adinolfi quando conduceva Stereonotte, altro storico programma Rai (per qualche mese, a metà degli anni Novanta, ci ha trasmesso anche Cesare Lorenzi).

Tutto questo per sottolineare che, quando penso a “Stranger Than Paradise”, penso subito al mondo musicale. E non solo per le connessioni a cui ho fatto cenno o per la presenza del leader dei Lounge Lizards, John Lurie (qui nella doppia veste di protagonista e autore delle musiche per quartetto d’archi che accompagnano i siparietti neri messi a intervallare i diversi episodi. Ma anche per l’atmosfera generale che si respira in questo film, girato in bianco e nero come le pagine dei primi numeri di Rockerilla; e diventato col tempo un simbolo degli anni Ottanta, come una qualsiasi puntata di Stereodrome.

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